Le prime carte del fondo di un oceano

L’immagine rappresenta uno stralcio di una delle carte batimetriche compilate nel periodo 1853-55 dallo United States Navy’s Dept of Charts and Instruments (oggi del Naval Oceanographic Office), all’epoca diretto dallo statunitense Matthew Fontaine Maury (1806 – 1873) considerato uno dei fondatori della moderna oceanografia.
Le operazioni di misure di profondità particolarmente elevate richiedevano una maestria ed una pazienza non indifferenti. Ogni 100 miglia, se non vi erano forti variazioni del fondale, altrimenti la distanza veniva ridotta, l’unità oceanografica cercava di mantenere una posizione fissa, eventualmente con macchine al minimo e possibilmente con prua o poppa al vento per contenere al minimo un possibile scarroccio.

I rilievi furono eseguiti con un tipo di scandaglio a sagola che prese il nome del suo ideatore, l’ufficiale di marina John Mercer Brooke, di cui si vede un esemplare a destra nell’immagine, le cui caratteristiche erano la semplicità, lo sgancio del peso appena giunto sul fondo e il prelievo di un piccolo campione a riprova dell’avvenuto contatto.
Per le navi a propulsione meccanica il rullo sul quale era colta la cima si trovava a prua, fornita di appositi dispositivi per guidare la linea e ridurre i fastidiosi effetti del beccheggio. Per le unità a vela si preferiva trasferire il rocchetto su una barca a remi in grado di mantenere più facilmente una posizione verticale della linea di scandaglio.

Durante la discesa, che poteva avvenire in pochi minuti, si contavano le marche intervallate di 50 braccia (91 m). L’addetto controllava attentamente il tempo di scorrimento delle marche per rilevare, con una sensibilità maturata nel corso di una lunga esperienza, l’arrivo sul fondo. La notevole quantità di cima impediva di riconoscere l’arrivo sul fondo dall’imbando della sagola come avveniva per le misure delle profondità sulle navi nella navigazione costiera. Era pertanto messo in conto l’eventualità di ripetere più volte la misura.

Le carte batimetriche volute da Maury rappresentano le prime di un oceano anche se i valori riportati non sono molto attendibili, come era convinto lo stesso Maury. D’altra parte una sagola di circa 3500 m (2000 braccia) presenta un allungamento non inferiore ai 100m che può ritenersi una buona approssimazione su tali profondità, ma senz’altro ha avuto la sua influenza nel riconoscere l’arrivo del peso sul fondo del mare. In ogni caso, dai rilievi effettuati, Maury ebbe la possibilità di rendersi conto della presenza nel nord Atlantico di una piattaforma continentale compresa tra l’Europa e l’America con minori profondità rispetto ad altre parti dell’oceano. Ipotizzando che tale zona poteva essere il percorso di un cavo telegrafico, chiamò quella piattaforma Telegraph Plateau (leggibile in alto nell’immagine riportata), che diverrà la scelta della prima impresa di posa di un cavo transatlantico nel 1858. Qualche anno dopo entrò in uso una variante di scandaglio, quello Walker, un miglioramento di un precedente scandaglio, quello di Murray. Nel 1870, il miglioramento della tecnologia dei metalli permise di fare un ulteriore passo avanti con la sostituzione della sagola in fibra con una fune in acciaio capace di contenere l’inconveniente degli allungamenti.

Il Periplo di Annone il Navigatore

I peripli, dal latino periplus, a sua volta dal greco períplous, circumnavigazione, erano una registrazione scritta dei viaggi esplorativi marittimi costieri condotti da Greci e Fenici, in cui alla descrizione delle coste, quelle del Mediterraneo, ma anche di parte dell’Atlantico, del mar Rosso e del mar Nero, si accompagnavano scene fantastiche, note mitologiche ed etnografiche che fanno assumere a tali opere un carattere più letterario e geografico che tecnico-nautico. La comparsa di un tale genere si attesta alla fine del VI sec a.C. anche se descrizioni di viaggi per mare si ritrovano in opere di autori più antichi tra cui Omero, ma molto probabilmente già con la crescita dei traffici nel Mediterraneo era uso impiegare notazioni verbali o altre forme di registrazione di dati nautici e geografici allo scopo, tra l’altro, di poter ripercorrere le rotte commerciali e coloniali individuate.

Tra i più antichi scritti, uno particolarmente rappresentativo, è il Periplo di Annone giunto a noi da una traduzione in greco dell’originale in punico. Si tratta di una breve relazione, di circa 800 parole, che la versione greca così introduce: I cartaginesi vollero che Annone viaggiasse al di fuori delle Colonne d’Ercole e fondasse centri libofenici. Egli salpò con sessanta navi da cinquanta remi (pentecontere) e una moltitudine di uomini e donne, fino a trentamila, con grano e altre provviste.

Fin dalla fine del ‘400 si cercò di identificare i luoghi indicati nel resoconto della spedizione cartaginese e ancora oggi non sono state confermate le corrispondenze dei luoghi descritti nel Periplo. Secondo l’opinione di un grande studioso del mondo fenicio e punico, l’archeologo Sabatino Moscati (1922-1997), la spedizione di Annone potrebbe essere giunta fino al Golfo di Guinea. Dopo la caduta di Cartagine (146 a.C.) ad opera di Scipione Emiliano, lo storico greco Polibio, per conto dello stesso Scipione, suo protettore e amico, esplorò la costa nord occidentale africana colonizzata dai cartaginesi portando presumibilmente con sé una copia del Periplo di Annone.

Ecumene di Erodoto

Ecumene di Erodoto

Ecumene di Erodoto – Ecumene ha il significato di terra abitata. Nell’antichità era così la porzione della terra emersa conosciuta e abitata dall’uomo. Il primo a redigere una carta dell’Ecumene, ricavata dalle informazioni fornite da viaggiatori, geografi, mercanti fu il filosofo greco Anassimandro di Mileto nel V – VI secolo a.C. che quindi può considerarsi il primo cartografo. Ha forma circolare in accordo all’idea dell’autore di una Terra dalla forma di un disco o un corto cilindro, sospeso nello spazio, una delle più rivoluzionarie ipotesi nella storia del pensiero umano.

Circa un secolo dopo sarà lo storico greco Erodoto a realizzare un nuovo Ecumene la cui forma sarà rettangolare, più simile alle carte geografiche che troveranno una base scientifica ben 600 anni dopo ad opera di un altro greco, l’astronomo e geografo Tolomeo. Erodoto viaggiò e visitò gran parte del Mediterraneo orientale, ricavando tutte quelle informazioni con cui redigerà i nove volumi della sua opera principale, le Storie, che pur presentando aspetti discordanti fornisce notizie interessanti sulla storia della navigazione dell’antichità.

Nel Libro IV così descrive la prima circumnavigazione dell’Africa: “La Libia [corrispondente all’Africa] si rivela essere interamente circondata dal mare, fuorché nel tratto di confine con l’Asia. Per quanto ne sappiamo il primo ad averlo dimostrato fu il re d’Egitto Neco [regnò dal 609 al 595 a.C.], interrotto lo scavo del canale che dal Nilo porta al Golfo Arabico, egli inviò dei Fenici su delle navi con l’incarico di attraversare le Colonne d’Eracle [nell’antichità esse rappresentavano il limite del mondo conosciuto e il limite della conoscenza] sulla via del ritorno, fino a giungere nel mare settentrionale [Mar Mediterraneo] e così in Egitto. I Fenici, pertanto, partiti dal Mare Eritreo, navigavano nel mare meridionale; ogni volta che veniva l’autunno, approdavano, in qualunque punto della Libia fossero giunti, seminavano e aspettavano il tempo della mietìtura. Dopo aver raccolto il grano, ripartivano, cosicché al terzo anno, dopo due trascorsi in viaggio, doppiarono le Colonne d’Eracle e giunsero in Egitto. E raccontarono anche particolari attendibili per qualcun altro ma non per me, per esempio che nel circumnavigare la Libia si erano trovati il sole sulla destra “.
In effetti al tempo di Erodoto era difficile accettare quanto riportato nel racconto avendo vissuto sempre a nord dell’equatore dove si osserva il sole a sud, perciò nel navigare verso ovest vede il sole alla propria sinistra. Ma al Capo di Buona Speranza, trovandosi a sud dell’equatore, il sole a mezzogiorno si osserva a nord, pertanto a destra di chi viaggia verso ovest. Tale descrizione quindi è una conferma dell’impresa compiuta. Il viaggio dei fenici .

Si vuole precisare che l’ecumene riportato è una interpretazione risalente al XIX secolo. In realtà esso non può oggi essere considerato fedele a una idea del mondo di Erodoto visto che la Spagna non era ancora nota e non erano noti i confini dell’Europa. Inoltre ai tempi di Erodoto le Colonne di Eracle erano probabilmente due isole nello stretto di Sicilia che rappresentavano il limite del mondo conosciuto e il limite della conoscenza.

Scandaglio Meccanico Walker

Scandaglio Meccanico Walker

Scandaglio meccanico – Agli inizi dell’800 la flotta inglese era la più numerosa al mondo, con oltre 450 unità, tra navi di linea e naviglio minore, rispetto alle quasi 100 unità di quella francese. Una delle cause di perdita di navi era dovuta alla navigazione su bassi fondali, soprattutto in quelle zone del nord Europa dove spesso la visibilità della costa è ridotta da nebbia o foschia e le maree sono piuttosto ampie.

Una così numerosa flotta richiedeva equipaggi numerosi tanto da spingere diversi Paesi all’arruolamento forzato o a leve incentivate da premi. Pochi erano i marinai di formazione o che si imbarcavano per scelta.

Lo scandagliamento ottenuto con il classico scandaglio, costituito da un peso assicurato ad una sagola, non è un’operazione semplice, occorre attenzione, equilibrio (in genere occorreva stare su una tavola fuori bordo), riconoscere le marche anche al buio, saper contare. Non era così improbabile che chi veniva incaricato di scandagliare fosse un contadino, un galeotto, un ubriaco o un analfabeta. La Royal Navy, consapevole di tutto ciò diede piena responsabilità agli ufficiali di guardia che potevano rischiare di essere deferiti alla corte marziale in caso di incaglio.

Per cercare di rendere più veritiera la misura dei fondali, nel 1808 il Board of Longitude, l’ente governativo britannico fondato nel 1714 allo scopo di risolvere il problema della longitudine in mare, assegnò all’orologiaio inglese Edward Massey la fornitura di un nuovo tipo di scandaglio dotato di un meccanismo con cui era possibile registrare la misura del fondale durante la discesa del peso in maniera che una volta riportato a bordo l’ufficiale di guardia era in grado di leggerne il valore, riportandolo sul giornale di bordo. Successivamente, nel 1860 tale scandaglio Massey fu sostituito da un nuovo scandaglio che, pur funzionante secondo lo stesso principio, era più semplice ed affidabile. Il nuovo strumento fu realizzato da un altro artigiano inglese, Thomas Walker, in origine costruttore di stufe.

Dall’immagine si comprende il funzionamento: durante la discesa sul fondo l’arpionismo D è mantenuto alzato per la spinta esercitata dall’acqua permettendo al rotore B di ruotare facendo avanzare le due rotelline graduate A poste su entrambe le facce, una per misure fino a 30 piedi e l’altra fino a 150. Raggiunto il fondo l’arpionismo si porta in basso bloccando il movimento della ventolina durante la risalita. Giunto a bordo l’ufficiale era in grado di leggere il fondale dalle due rotelline dello strumento.

Da allora la ditta inglese Walker ha costruito numerosi strumenti nautici fino alla metà del ‘900 ed è famosa soprattutto per aver introdotto il primo solcometro meccanico, noto come Harpoon (arpione), in sostituzione del solcometro a barchetta.

Squadra zoppa e la misura della velocità di una nave

Squadra zoppa

Squadra zoppa – Particolare solcometro, probabilmente di origine olandese, costituito da tre aste disposte secondo un triangolo rettangolo in cui l’ipotenusa poteva ruotare intorno a un perno per adattare la squadra all’altezza dalla superficie dell’acqua.

Dal vertice O veniva osservata un’onda o una spuma passare successivamente sotto le visuali OAC e OBD in corrispondenza dei prolungamenti del cateto verticale e dell’ipotenusa rispettivamente. Dal conteggio dei passaggi per un periodo di 30 secondi (corrispondente a 1/120mo di ora), fornito da un apposito orologio a sabbia (clessidra), si ricavava la velocità della nave. L’inclinazione dell’asta di ipotenusa veniva stabilita in maniera che la lunghezza del tratto di misura sull’acqua fosse sottomultiplo di 1/120mo di miglio (15,4 m). La regolazione, effettuata solo una volta per quella nave, avveniva misurando prima l’altezza dall’acqua del vertice O quindi si posizionava l’inclinazione in base alle graduazioni sulle aste dei cateti. Il principio comunque è quello della similitudine dei triangoli OAB e OCD per cui a un ben definito valore di CD corrisponde una sola inclinazione dell’asta. Per poter avere valori dell’angolo al vertice O tali da consentire un’agevole lettura, CD veniva assunto pari a 1/10 di 15,4 m. In tal caso se nei 30 sec l’addetto alla misura (“al contar il camino”) osservava 35 passaggi, la nave procedeva a 3 nodi e mezzo.

Lo strumento è descritto nel libro Introduzione all’Arte Nautica del 1715 pubblicato a Venezia da Girolamo Albrizzi che ne consiglia l’uso come preferibile rispetto alla “passeretta”, più nota come barchetta, che comunque prevalse anche perché permetteva misure pure in assenza di luce.

Solcometro

Solcometro

Solcometro e scandaglio – Nella tavola è illustrato il solcometro a barchetta, noto anche come barchetta o passeretta, costituito da un settore circolare di legno duro (barchetta), zavorrato lungo il bordo da una striscia di piombo e collegato ad una sagola, avvolgibile intorno ad un tamburo (molinello), tramite una patta d’oca eseguita con i tre legnoli della sagola stessa. Due dei tre legnoli erano assicurati da cavicchi di legno. La barchetta veniva lanciata in mare da poppa (fuori della scia) e poiché si disponeva in posizione verticale era, con buona approssimazione, fissa rispetto alla superficie dell’acqua. Si filava la sagola per 30 s (=1/120 di ora), contando le singole suddivisioni (marcate da cordicelle annodate, da cui il termine nodo come unità di misura della velocità) della cima che scorreva fuori bordo. Ogni suddivisione era pari a m 15,43 (=1/120 di miglio marino): il numero dei nodi filati nell’intervallo suddetto indicava la velocità in miglia/ora della nave. Per recuperare la barchetta a fine misura si dava un forte strappo alla sagola per cui i cavicchi uscivano dai fori consentendo alla barchetta di disporsi orizzontalmente, recuperandola. I valori misurati venivano poi corretti per tenere conto che la barchetta non rappresentava un vero punto fisso. – tavola tratta da: Text-book of Seamanship del 1891.