Ritratto d’ignoto marinaio – (1465 – 1476)

Dipinto ad olio, su tavola di noce di soli 31×24,5 cm, raffigurante un volto di uomo dallo sguardo beffardo e misterioso che ricorda un altro altrettanto enigmatico sorriso, quello della più famosa Gioconda di Leonardo da Vinci.
A ciò si aggiunge la mancanza di conoscenza sulla sua provenienza e come ne venne in possesso Enrico Pirajno, barone di Mandralisca (1809 – 1864), che si dice lo avrebbe ricevuto in dono durante una delle sue frequenti visite a Lipari dove, prima di allora, costituiva uno degli sportelli di un mobile da farmacia.

Unica certezza è che il ritratto fu eseguito da Antonello da Messina (1425/30 – 1479) tra il 1465 e il 1476. Scontato che quindi l’opera assumesse nel tempo più soprannomi tra cui Ritratto di ignoto o il più celebre Ritratto di un ignoto marinaio, come alcuni ritenevano che fosse per via dell’abito e della sua presenza a Lipari.
Per volontà del nobile siciliano alla sua morte il dipinto, insieme ad una discreta collezione di oggetti d’arte, fu affidato alla Fondazione Culturale Mandralisca di Cefalù che lo conserva tutt’ora in un museo aperto al pubblico.

Nel 2017 alcuni studiosi, partendo da un sigillo rilevato sul retro della tavola, avrebbero identificato in Francesco Vitale, vescovo di Cefalù dal 1484 al 1492, il protagonista dell’opera, una scoperta senz’altro valida da un punto di vista storico, ma che in qualche modo rende meno misterioso il quadro che continueremo a chiamarlo Ritratto di un ignoto marinaio.

Alessandro Malaspina esploratore e navigatore italiano

Nato nel 1754 nella nobile famiglia toscana dei Malaspina, a vent’anni segue lo zio in Spagna dove fu ammesso all’accademia della Reale marina spagnola, a cui seguì una rapida carriera partecipando a diverse missioni militari nonché ad alcune campagne di rilevazione cartografica. Dall’attenta lettura di quanto era stato pubblicato sulle imprese di famosi navigatori, soprattutto di Cook (1728-1779) e La Pérouse (1741-1788), si era convinto che le grandi scoperte appartenevano al passato e che era il momento per le navigazioni a carattere scientifico in grado di apportare una maggiore comprensione di quanto già conosciuto. Con la motivazione che un tale approccio, esteso a tutto il Globo, avrebbe permesso alla Corona spagnola di acquisire informazioni strategiche sui suoi possedimenti e al tempo stesso ne avrebbe aumentato il prestigio fornendo nuove conoscenze alle altre nazioni europee, Malaspina riuscì ad ottenere un cospicuo finanziamento dalla Spagna per una spedizione scientifica intorno al mondo. Furono costruite due navi, le corvette battezzate in onore di Cook Descubierta e Atravida come Discovery e Resolution, rispettivamente la nave del terzo e del secondo e terzo viaggio dell’esploratore inglese. Il varo avvenne il 12 giugno 1789 e già il 30 luglio successivo presero il largo, ospitando a bordo, oltre agli ufficiali e marinai, naturalisti cartografi, pittori, disegnatori e anche chirurghi e cappellani

La spedizione di Malaspina, durante la quale furono effettuate numerose osservazioni idrografiche, astronomiche botaniche e geodetiche, si svolse prima lungo le coste americane dell’Atlantico e del Pacifico, giungendo in Alaska per poi attraversare il Pacifico toccando le Filippine, Le Molucche, l’Australia la Nuova Zelanda per poi concludersi, doppiato Capo Horn, a Cadice in Spagna nel settembre del 1794, un paese molto diverso da quello lasciato e dove le sue idee riformatrici non furono accolte dalla nuova classe politica tanto da cadere ben presto in disgrazia. Sebbene innocente fu accusato e trasferito al castello di San Antón de La Coruña, in Galizia dove rimase sette anni. Liberato nel 1803 per intervento di Napoleone tornò in Italia dove morì nel 1810.

Gianni Berengo Gardin e le navi

Gianni Berengo Gardin, veneziano, nato a Santa Margherita Ligure quasi per caso nel 1930, sempre interessato nella sua attività di fotografo anche agli aspetti sociali, ha prodotto numerosi lavori di denuncia tra cui il celebre documento del 2015 sui passaggi delle Grandi Navi a Venezia da cui è tratta una delle due immagine che presentiamo, di diversa atmosfera rispetto all’altra immagine che ritrae l’interno del Vaporetto in viaggio verso Punta della Dogana, considerata da Henry Cartier Bresson, una delle più belle foto del ‘900. Entrambe in bianco e nero, come quasi tutta la produzione del grande fotografo che afferma: “Il colore distrae, si finisce per essere attratti più dal colore che dal soggetto.”

Juan Manuel Ballestero attraversa l’Atlantico in solitario al tempo del coronavirus

Nel marzo del 2020 il surfista, marinaio e pescatore argentino Juan Manuel Ballestero, di 47 anni, residente in Spagna da molti anni, si trovava con la propria imbarcazione Skua, uno sloop di 29 piedi degli anni ’70, nella piccola isola portoghese di Porto Santo, al largo di Madeira.

In piena pandemia da coronavirus, sentendosi privilegiato a trovarsi in un luogo panoramico, risparmiato dal virus, provò un senso di nostalgia al pensiero di essere lontano dalla famiglia, specialmente da suo padre che presto avrebbe compiuto 90 anni. Purtroppo il Portogallo aveva chiuso i voli con l’estero così, anche con un po’ di incoscienza, prese la decisione di attraversare l’oceano a bordo di Skua.

Il 24 marzo, in pieno confinamento covid-19, salpa dall’isola di Porto Santo alla volta dell’Argentina.

Prima di partire le autorità portoghesi lo avvertirono che se avesse avuto dei problemi non avrebbe potuto rimettere piede a Porto Santo o altrove, a causa delle stringenti regole anti-Covid.

Juan Manuel non è un navigatore sprovveduto, ha trascorso gran parte della sua vita a vela, con tappe in Venezuela, Sri Lanka, Bali, Hawaii, Costa Rica, Brasile, Alaska e Spagna, ma stavolta è solo in un lungo viaggio di circa 5000 miglia.

Il 12 aprile raggiunge Capo Verde con l’intenzione di fare rifornimento di cibo e carburante ma riceve un secco rifiuto a sbarcare.

Il viaggio non sarà facile, dovrà affrontare bonacce senza carburante di riserva, giornate di cattivo tempo ed anche la paura di essere inseguito da una barca che credeva fosse dei pirati. In compenso ebbe come compagni di viaggio branchi di pesci, delfini e persino una skua, il grande uccello marino che dà il nome alla barca e che per Juan rappresentò un augurio e un invito a non cedere anche nei momenti di sconforto. Il rapporto con i pesci divenne tanto intenso che quando, stanco di cibo in scatola, decise di pescare, ricordandosi di essere anche pescatore, abbandonò subito l’idea di catturare quei pesci ormai divenuti compagni di viaggio.

A circa 150 miglia dalla costa nord del Brasile un’onda particolarmente grossa scuote a tal punto l’imbarcazione che lo costringe a rifugiarsi nel porto di Vitòria a nord di Rio de Janeiro dove sosta per 10 giorni durante i quali il fratello diede la notizia dell’impresa ad alcune testate argentine. Così il 17 giugno, dopo 85 giorni dalla partenza, entrando nel porto del Mar del Plata in Argentina, riceve una caloroso benvenuto.

Eseguito l’obbligatorio test del tampone, risultato negativo dopo 3 giorni, Juan Manuel mise definitivamente piede sul suolo argentino.

Entrare nel porto dove mio padre aveva la sua barca a vela, dove mi ha insegnato tante cose e dove ho imparato a navigare e dove tutto questo ha avuto origine, mi ha dato il sapore di una missione compiuta“.

(foto e video disponibili su Instagram @skuanavega)

Alberto Gianni, palombaro leggendario

La storia dei palombari è intrisa di fascino e mistero con figure leggendarie per le loro imprese ed ogni nazione annovera uomini capaci di affrontare le difficoltà di un mestiere pericoloso in cui contano capacità fisiche, tecniche e psicologiche non comuni.

Tra gli italiani una delle figure più interessanti è il viareggino Alberto Gianni (1891 – 1930) passato alla storia per le sue doti di coraggio, tenacia e di conoscenze tecniche tradotte in alcune invenzioni e nel miglioramento di esistenti attrezzature subacquee.

Dopo essere stato imbarcato, dai 10 ai 20 anni di età, prima come mozzo e poi marinaio, si iscrisse alla Scuola Torpedinieri (marinai addetti alla manutenzione e all’impiego delle armi subacquee) del Varignano a Porto Venere in provincia della Spezia, la prima scuola italiana di addestramento palombari, fondata dalla Marina del Regno di Sardegna a Genova nel 1849 e trasferita a Porto Venere vent’anni dopo. Qui consegue nel 1912 il brevetto di torpediniere scelto e minatore palombaro. Per qualche anno svolge l’attività con interventi di riparazione alle carene di navi della Regia Marina.

Allo scoppio della Grande Guerra venne assegnato all’Arsenale di La Spezia dove mise in evidenza le sue doti non comuni portando in salvo l’equipaggio di un sommergibile affondato su un fondale di circa 35 m nella parte occidentale del Golfo di La Spezia nel braccio di mare tra l’isola Palmara e quella del Tino. La permanenza di oltre 7 ore sul fondo per imbracare l’unità gli provocò una grave embolia gassosa (causata dall’azoto contenuto nell’aria compressa) rimanendo in coma per cinque giorni. Fu un episodio a lieto fine: salvati i 40 marinai e il palombaro Gianni che da tale esperienza progettò nel 1916 la prima camera di decompressione o iperbarica, all’epoca conosciuta come cassa disazotatrice. Nei 10 anni successivi svolse in proprio attività di recuperi in mare crescendo in esperienza e notorietà tanto che nel 1927 venne chiamato dalla Società Recuperi Marittimi, la SO.Ri.MA in qualità di responsabile delle operazioni subacquee a bordo dell’Artiglio. Tra i vari apporti tecnici ci fu la realizzazione della torretta butoscopica, un cilindro munito, nella parte superiore, di diversi piccoli oblò che consentivano la visuale in ogni direzione per poter dirigere i lavori svolti sul fondo da benne e idrovore, con cui era possibile scendere a profondità maggiori e con maggiore sicurezza degli scafandri rigidi allora impiegati. Con tale congegno si riuscì a localizzare il relitto dell’Egypt, inutilmente cercato da molte società di recupero internazionali, che giaceva al largo di Brest, Bretagna, Francia, su un fondale di circa 120 metri, con un preziosissimo carico di lingotti d’oro e d’argento. La notizia del ritrovamento e dei primi lingotti portati in superficie fece il giro del mondo e Alberto Gianni divenne conosciuto a livello internazionale. Per sopraggiunte pessime condizioni meteomarine, la SORiMA decise di trasferire momentaneamente l’Artiglio su un altro relitto, il Florence, un grosso piroscafo americano, silurato da un sommergibile tedesco, con un consistente carico di esplosivi che giaceva a circa 16 m di profondità di fronte la costa nord occidentale della Francia.

La fretta di completare le operazioni e la convinzione, suffragata dalla Marina militare francese, anche in base a test di laboratorio, che dopo tredici anni il carico di munizioni fosse ormai inerte, determinarono la tragedia dell’Artiglio. Dopo aver tentato numerose volte, senza successo, di demolire lo scafo con ridotte cariche di esplosivo, l’equipaggio dell’Artiglio decise di impiegare una carica più potente del solito. Non disponendo di cavo elettrico speciale di sufficiente lunghezza, ridotta dai continui precedenti tentativi, l’Artiglio si avvicinò troppo al relitto. E ciò fu fatale. L’esplosione interessò l’intero carico di munizioni stipato nella nave e fu tanto violenta da travolgere l’Artiglio con l’intero equipaggio. Molte furono le vittime tra cui i palombari viareggini Gianni, Franceschi e Bargellini. Era il 7 dicembre del 1930.

La notizia della tragedia fu riportata da tutti i giornali nazionali e internazionali con grande commozione di tutti.

Ashley, l’autore del più famoso libro di nodi

Clifford Warren Ashley (1881 – 1947), artista americano, oggi conosciuto come l’autore della più nota e completa opera sui nodi, The Ashley Book of Knots (1944).

Luogo di nascita e passione per il disegno hanno certamente influito sulla vita di Ashley. Nato a New Bedford, nello stato nordamericano del Massachusetts, un porto della costa orientale dalla particolare storia marinara, non a caso luogo di ambientazione del Moby Dick di Herman Melville, Ashley fin dal liceo manifestò la passione per il disegno tanto da frequentare diverse scuole d’arte formandosi illustratore, un’attività che svolse fin da giovane per importanti riviste americane.

Nel 1904 ebbe l’incarico, dalla famosa rivista Harper’s Monthly Magazine, di scrivere ed illustrare un articolo in due puntate sulla caccia alle balene, un’attività ancora svolta a New Bedford all’inizio del XX sec. .

Nell’agosto di quello stesso anno Ashley si imbarcò sul brigantino a palo Sunbeam per sei settimane durante le quali fece fotografie e disegni della vita e delle attrezzature di bordo. Gli articoli pubblicati ebbero un meritato successo.

Nel 1925 fu pubblicata da una rivista di Storie di mare una prima breve raccolta di nodi dal titolo The Sailor and his knots in cui emerge il suo stile di illustratore e di attento osservatore, due caratteristiche che si ritrovano in altri due testi sulla caccia alle balene praticata tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900: The Yankee Whaler (1926) e The Whaleships of New Bedford (1929).

Il suo lavoro più importante, noto con l’acronimo ABOK, tradotto in molte lingue (Il Grande libro dei nodi), è il risultato di 40 anni di ricerche e sperimentazioni, 11 di stesura per 620 pagine, con circa 7000 disegni per oltre 3800 nodi di cui alcuni da lui inventati. In particolare un nodo di giunzione, indicato semplicemente come #1452 che altri denomineranno nodo Ashley, quale riconoscenza per aver prodotto uno dei migliori nodi del suo genere, valido ancora oggi con i moderni cavi.

Marsili, autore del primo trattato di oceanografia

Dovendo condensare in poche righe la vita del bolognese Luigi Ferdinando Marsili (o Marsigli) (1658 – 1730), si può dire che fu un viaggiatore particolarmente attento a quanto osservava, spinto da un desiderio di conoscenza che lo porterà ad interessarsi, con metodo scientifico, di geografia, etnologia, idrologia, che trasferì in numerose opere.

Per fornire una pur sommaria idea dell’ampiezza dei temi trattati si rammentano due opere: Histoire physique de la mer (1725), derivato dalle ricerche sui fenomeni del mare effettuate in Francia sulle coste provenzali, negli anni 1706-1708, considerato il primo trattato scientifico di oceanografia e Bevanda Asiatica, brindata, in cui viene trattato l’uso del caffè come bevanda e non come medicinale.

Nel 1711 fondò a Bologna l’Istituto delle Scienze, un luogo di studio e sperimentazione nell’ambito della storia naturale, che si unirà all’Accademia degli Inquieti, oggi Accademia delle Scienze presso l’Università di Bologna.

Dal 1930, in occasione del secondo centenario della morte di Marsili, la sua vasta collezione entrò a far parte dell’omonimo Museo allestito nella Biblioteca Universitaria di Bologna.

In onore dello studioso, il più imponente vulcano sottomarino europeo, presente nei fondali del Mar Tirreno Meridionale, è stato nominato Marsili.

Ibn Battuta, viaggiatore e storico del XIV secolo

Ibn Battuta (1304-1368), è stato un viaggiatore e storico marocchino, considerato uno dei più grandi viaggiatori di sempre avendo percorso quasi 120.000 km e visitato più di 40 Paesi, un’impresa ineguagliata prima dell’era del motore a vapore.

Dopo gli studi in giurisprudenza, a 21 anni nel 1325 partì da Tangeri in pellegrinaggio alla Mecca, come richiesto da ogni musulmano adulto che ne abbia la capacità fisica e i mezzi. Da questo momento, spinto da una innata sete di avventura, intraprese numerosi viaggi che lo avrebbero portato in alcune delle parti più distanti del mondo allora conosciuto, tra cui i territori che oggi appartengono a Cina, India, Indonesia, Mali, Iran, Russia, Siria, Tanzania, Turchia e paesi arabi (1325-1332 ;1332-1347 ;1349-1354).

Partii solo, senza un amico che mi allietasse con la sua compagnia … I miei genitori erano ancora in vita e soffrii molto a separarmene: sia io che loro ne provammo una gran pena”.

A 45 anni, nel 1349, fece ritorno in Marocco scoprendo che sua madre era morta di peste pochi mesi prima. Così ripartì per la Spagna e tre anni dopo intraprese il suo ultimo viaggio fino alla regioni del fiume Niger e a Timbuctù.

Ritornò definitivamente in Marocco nella città di Fès nel 1354. Il sultano, appreso dei suoi viaggi, gli ordinò di preparare un resoconto che allietasse la corte e gli affidò un segretario. Un dono di gran pregio per chi vuol gettare lo sguardo su città inconsuete e peripli d’incanto, è la traduzione del titolo originario in arabo, anche se l’opera è conosciuta più brevemente come RiḥlaI, I viaggi.

La RiḥlaI rimase sconosciuta al di fuori del mondo musulmano fino al XIX secolo quando alcune copie del manoscritto vennero acquistate, anche in maniera fortuita, da esploratori e studiosi europei. Quanto viene raccontato rappresenta un documento di grande interesse del mondo musulmano del Medioevo sia per le notizie geografiche sia per le informazioni di storia politica e storia del costume.

Pur non essendo Ibn Battuta un personaggio di mare, abbiamo ritenuto presentarlo in questa nostra galleria per le notizie che si possono trovare nel suo Rihlal: i pescatori di perle e i pirati del Golfo Persico, in India le giunche fatte di bambù dotate fino a 12 vele, le imbarcazioni sul Nilo, la descrizione di quel che rimaneva del faro di Alessandria.

testo di riferimento: Ibn Battuta I Viaggi – I Millenni Einaudi 2006 trad. Claudia M. Tresso

Bowditch, autore del più famoso manuale di navigazione americano

Nathaniel Bowditch, (1773 – 1838), navigatore, matematico e astronomo statunitense, è considerato uno dei fondatori della moderna navigazione marittima.

Formatosi da autodidatta fin dall’età di 10 anni, quando aveva lasciato la scuola costretto a lavorare per sopraggiunte circostanze familiari, a soli 19 anni, dopo un’esperienza in mare di quattro anni, e unaconoscenza di francese, latino, analisi matematica e fisica, tradusse in inglese i primi volumi della Meccanica Celeste dello scienziato francese Pierre Laplace a cui aggiunse numerosi commenti. Per tutta la vita si dedicò all’opera dello scienziato francese, man mano che venivano pubblicati nuovi volumi. La svolta si ebbe quando approfondì, in quegli stessi anni, lo studio dell’opera dell’inglese John Hamilton Moore, The Practical Navigator. Le numerose integrazioni e modifiche che emersero da tale studio lo spinsero a pubblicare, nel 1802, il manuale The New American Practical Navigator la cui completezza e metodologia espositiva spinsero il Dipartimento della Marina degli Stati Uniti ad adottarlo come testo ufficiale per ben 60 edizioni successive. Bowditch scrisse anche molti articoli scientifici, uno dei quali sul movimento di un pendolo oscillante contemporaneamente attorno a due assi ad angolo retto, allo scopo di illustrare il moto apparente della Terra visto dalla Luna, che descrisse come curve di Bowditch, più tardi note come figure di Lissajous dall’omonimo scienziato francese (1822 – 1880) che le studiò in dettaglio. Le sue conoscenze di matematica e in particolare di statistica, lo portarono ad interessarsi (1823-38) alla cosiddetta matematica attuariale o finanziaria, nata proprio in tale periodo storico, per conto del Massachusetts Hospital Life Insurance Company di Boston.

In riconoscimento dei suoi successi fu ammesso come membro onorario in diverse accademie straniere, inclusa la Royal Society. Dal 1829 fino alla sua morte fu presidente dell’American Academy of Arts and Sciences.

Barret Jeanne e il giro del mondo

Jeanne Barret (1740 – 1807), botanica francese, prima donna a compiere il giro del mondo in nave, travestita da ragazzo.

Nella Francia del XVIII secolo era vietata la presenza di donne a bordo delle navi della corona. Jeanne, di famiglia molto povera della Borgogna, si era istruita da sola e questo le aveva permesso di trovare lavoro come casalinga presso Philibert Commerson (1727 – 1773), botanico di corte, che aveva perso la moglie nel dare alla luce un figlio. S’innamora dello scienziato che nel frattempo viene invitato a partecipare a una spedizione intorno al mondo, voluta da Luigi XV, con a capo il navigatore, esploratore ed ammiraglio Louis Antoine de Bougainville (1729 – 1811). L’impresa, la prima della Francia, dopo circa due secoli e mezzo da quella di Magellano, ebbe inizio il 5 dicembre del 1766 dal porto di Brest da cui salpò la fregata Boudeuse che, dopo aver attraversato l’oceano, fu raggiunta nel giugno dell’anno seguente a Río de la Plata dalla nave da carico Étoile, che portava a bordo anche un disegnatore, un astronomo, il naturalista Commerçon e con il nome Jean, capelli corti e seno fasciato, anche la Barret voluta dal botanico riconoscendone grandi capacità scientifiche sviluppate nel registrare, archiviare e indicizzare i documenti relativi alla botanica, alla classificazione delle piante e alla riorganizzazione dei giardini di Bourg-en-Bresse, Digione e Lione.

Ogni volta che la nave attraccava i due botanici esploravano a fondo la terraferma raccogliendo anche campioni di fioritura tra cui quelli di una pianta che chiamarono Bougainvillea in onore del comandante della spedizione. Intanto a bordo cominciarono a circolare voci sul sesso di Barret che sarà poi smascherato dai tahitiani tanto da costringere i francesi a portarla in fretta a bordo. Durante la circumnavigazione Jeanne Barret fu protagonista di ulteriori viaggi scientifici di cui si sa solo attraverso i diari di altri marinai non avendo lei lasciato alcuno scritto. Solo nel 2002 Barret fu portata all’attenzione del grande pubblico e nel 2012 le è stata dedicata l’unica pianta con il suo nome: la Solanum baretiae, scoperta nel 1992.