Alberto Gianni, palombaro leggendario

La storia dei palombari è intrisa di fascino e mistero con figure leggendarie per le loro imprese ed ogni nazione annovera uomini capaci di affrontare le difficoltà di un mestiere pericoloso in cui contano capacità fisiche, tecniche e psicologiche non comuni.

Tra gli italiani una delle figure più interessanti è il viareggino Alberto Gianni (1891 – 1930) passato alla storia per le sue doti di coraggio, tenacia e di conoscenze tecniche tradotte in alcune invenzioni e nel miglioramento di esistenti attrezzature subacquee.

Dopo essere stato imbarcato, dai 10 ai 20 anni di età, prima come mozzo e poi marinaio, si iscrisse alla Scuola Torpedinieri (marinai addetti alla manutenzione e all’impiego delle armi subacquee) del Varignano a Porto Venere in provincia della Spezia, la prima scuola italiana di addestramento palombari, fondata dalla Marina del Regno di Sardegna a Genova nel 1849 e trasferita a Porto Venere vent’anni dopo. Qui consegue nel 1912 il brevetto di torpediniere scelto e minatore palombaro. Per qualche anno svolge l’attività con interventi di riparazione alle carene di navi della Regia Marina.

Allo scoppio della Grande Guerra venne assegnato all’Arsenale di La Spezia dove mise in evidenza le sue doti non comuni portando in salvo l’equipaggio di un sommergibile affondato su un fondale di circa 35 m nella parte occidentale del Golfo di La Spezia nel braccio di mare tra l’isola Palmara e quella del Tino. La permanenza di oltre 7 ore sul fondo per imbracare l’unità gli provocò una grave embolia gassosa (causata dall’azoto contenuto nell’aria compressa) rimanendo in coma per cinque giorni. Fu un episodio a lieto fine: salvati i 40 marinai e il palombaro Gianni che da tale esperienza progettò nel 1916 la prima camera di decompressione o iperbarica, all’epoca conosciuta come cassa disazotatrice. Nei 10 anni successivi svolse in proprio attività di recuperi in mare crescendo in esperienza e notorietà tanto che nel 1927 venne chiamato dalla Società Recuperi Marittimi, la SO.Ri.MA in qualità di responsabile delle operazioni subacquee a bordo dell’Artiglio. Tra i vari apporti tecnici ci fu la realizzazione della torretta butoscopica, un cilindro munito, nella parte superiore, di diversi piccoli oblò che consentivano la visuale in ogni direzione per poter dirigere i lavori svolti sul fondo da benne e idrovore, con cui era possibile scendere a profondità maggiori e con maggiore sicurezza degli scafandri rigidi allora impiegati. Con tale congegno si riuscì a localizzare il relitto dell’Egypt, inutilmente cercato da molte società di recupero internazionali, che giaceva al largo di Brest, Bretagna, Francia, su un fondale di circa 120 metri, con un preziosissimo carico di lingotti d’oro e d’argento. La notizia del ritrovamento e dei primi lingotti portati in superficie fece il giro del mondo e Alberto Gianni divenne conosciuto a livello internazionale. Per sopraggiunte pessime condizioni meteomarine, la SORiMA decise di trasferire momentaneamente l’Artiglio su un altro relitto, il Florence, un grosso piroscafo americano, silurato da un sommergibile tedesco, con un consistente carico di esplosivi che giaceva a circa 16 m di profondità di fronte la costa nord occidentale della Francia.

La fretta di completare le operazioni e la convinzione, suffragata dalla Marina militare francese, anche in base a test di laboratorio, che dopo tredici anni il carico di munizioni fosse ormai inerte, determinarono la tragedia dell’Artiglio. Dopo aver tentato numerose volte, senza successo, di demolire lo scafo con ridotte cariche di esplosivo, l’equipaggio dell’Artiglio decise di impiegare una carica più potente del solito. Non disponendo di cavo elettrico speciale di sufficiente lunghezza, ridotta dai continui precedenti tentativi, l’Artiglio si avvicinò troppo al relitto. E ciò fu fatale. L’esplosione interessò l’intero carico di munizioni stipato nella nave e fu tanto violenta da travolgere l’Artiglio con l’intero equipaggio. Molte furono le vittime tra cui i palombari viareggini Gianni, Franceschi e Bargellini. Era il 7 dicembre del 1930.

La notizia della tragedia fu riportata da tutti i giornali nazionali e internazionali con grande commozione di tutti.