La Rochelle – la base sottomarina

All’interno dell’Atlantic Port della cittadina costiera La Rochelle, nel sud-ovest della Francia sull’Atlantico, si trova un gigantesco bunker che venne costruito dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale per proteggere e rifornire la 3a flottiglia di U-Boot. La costruzione ebbe inizio nel 1941 e completata nel 1943, con l’impiego di oltre 2.000 lavoratori giorno e notte, la maggior parte provenienti dal Servizio di lavoro obbligatorio francese STO (Service du Travail Obligatoire), imposto dai nazisti quale supporto all’economia di guerra del III Reich. Le condizioni, particolarmente difficili e dolorose, vennero gestite dall’organizzazione Todt, dal nome dell’ingegnere e generale tedesco che la creò, responsabile della maggior parte dei grandi progetti di costruzione nazisti. Nel corso della Guerra Todt arrivò ad impiegare nel lavoro coatto più di 1.500.000 tra uomini e ragazzi.

Il bunker è lungo 197 m, largo 175 ed alto più di 21 con pareti e solaio di fortissimo spessore (dai 2 ai 3,5 metri), tutto realizzato in cemento fortemente armato.
A prova della notevole capacità di resistenza del manufatto nell’agosto del 1944, quando gli Alleati tentarono di bombardare il porto, più di 150 tonnellate di bombe causarono pochi danni strategici.

Tale ciclopica installazione venne realizzata nell’ambito del più vasto progetto nazista denominato Vallo Atlantico (Atlantikwall), un esteso sistema di fortificazioni lungo tutte le coste dell’Europa nord-occidentale, dalla Norvegia alla Francia) a difesa da possibili sbarchi Alleati.
Era composto da linee di difesa in numerosi porti, come quello di La Rochelle, da fortezze, stazioni di ascolto e da numerosi bunker che si possono ancora trovare lungo le coste atlantiche. Quello realizzato a La Rochelle era dotato di 10 celle in grado di ospitare 13 sottomarini U-Boot e di tutte le attrezzature atte al rifornimento delle unità che dovevano salpare per le missioni o per effettuare le riparazioni più importanti.

Dopo la Guerra il bunker venne usato come locale officina per la costruzione navale e l’armamento della marina militare francese ed è stato anche utilizzato come set cinematografico per diverse riprese tra cui alcune del film Indiana Jones: I predatori dell’arca perduta . Ad oggi le condizioni della struttura, già fortemente provata dai numerosi bombardamenti subiti, sono molto precarie per le numerose e ripetute infiltrazioni d’acqua, soprattutto da parte delle maree, che hanno indebolito i ferri del cemento armato. Così per precauzione è possibile visitarlo solo dopo aver avuto il permesso dalla locale autorità portuale.

Faro di Capo Bonavista

Sul Capo di Bonavista a circa 4,5 miglia dalla omonima città (nella provincia del Labrador in Canada) si erge un faro, oggi dismesso, che è stato attivo dal 1843 al 1966, quando fu sostituito da un più moderno faro a traliccio (Fl W 10s) , visibile nella foto.

Si presenta come una torre cilindrica sovrastante la casa del custode, entrambe a strisce verticali rosse e bianche. Nella lanterna è installata (funzionante ma non attiva) una rarissima luce catottrica di costruzione scozzese del 1816, con sei riflettori da 46 cm, ognuno dotato di bruciatore (non è quindi presente la lente di fresnel).

Nel 2000 la Provincia di Terranova e Labrador. decise il restauro del faro il cui programma dei lavori ebbe un ritardo a causa di un incendio appiccato da un fulmine il 3 agosto 2001. Nel settembre 2003 le attività di restauro furono completate anche con il recupero della particolare sorgente luminosa.

Come per molti altri fari sparsi nel mondo, anche quello di Capo Bonavista è divenuto un piccolo museo marittimo aperto al pubblico, ma oltre ad esporre le attrezzature e gli oggetti della vita dei guardiani del faro è anche un punto di osservazione sulla natura da cui è possibile vedere passare le colorate pulcinelle di mare, le balene e perfino gli iceberg.

nota: le foto sono tratte dal sito istituzionale della città di Bonavista

Faro di Elbow Reef

Oggi, nell’era dell’elettronica digitale e dei sistemi di navigazione satellitare, i fari, o almeno la maggior parte di essi, hanno perso la loro importanza originaria. Così vi sono fari dismessi, non più necessari, abbandonati o convertiti ad altro uso ma anche fari che continuano la loro funzione di assistenza alla navigazione segnalando luoghi pericolosi o di una certa rilevanza. Tra i fari ancora funzionanti ve ne sono alcuni che ancora posseggono parti delle originarie strutture di illuminazione, dalle lenti agli orologi per la sincronizzazione dei movimenti.

C’è un faro, quello di Elbow Reef che ancora oggi è dotato, unico al mondo, di una sorgente luminosa a cherosene con movimento della lente a carica manuale. Si sa che i fari sono un patrimonio culturale, storico e sociale non solo per i marittimi ma anche per le comunità locali che per generazioni hanno condiviso la propria vita con quella del faro.
In tale spirito un’associazione, la ERLS (Elbow Reef Lighthouse Society) si è presa la responsabilità di mantenere le apparecchiature del passato storico del faro funzionanti e non automatizzate. Infatti il sistema di rotazione capace della sequenza di 5 lampi ogni 15 secondi (Fl(5) W 15s) è costituito da un orologio a contrappeso che va caricato a mano periodicamente.

Equipaggiato e gestito ininterrottamente dal 1863, il faro di Elbow Reef (letteralmente scogliera del gomito) si trova su una delle isole Abaco nelle Bahamas, a 26°32′23″N 76°57′44″W, ed ha una portata di 23 miglia. La lucerna a cherosene, dotata di stoppino con mantello ignifugo, è posta nel fuoco di una grande lente del 1° ordine sospesa da un sistema galleggiante a mercurio che ne permette la rotazione. Nel 2019 il faro ha resistito ad un intenso ciclone, ma il suo futuro è legato alle donazioni richieste dall’associazione attraverso il proprio sito

Faro di Créac’h

Il faro di Créac’h (pron. creach – parola che in bretone significa promontorio), situato sull’isola di Ouessant (dall’antico celtico Ouxisama, “la più alta”) appartenente a quella regione più occidentale della Bretagna nota come Finistère (dal latino Finis terrae, cioè fine della terra), bagnata a nord dal Canale della Manica e a sud ed a ovest dall’Oceano Atlantico, è di ausilio alle navi in quel pericoloso e trafficato tratto di Atlantico che si immette nel Canale della Manica. Per tale motivo la sua luce ha una elevata portata luminosa, la maggiore d’Europa, di ben 32 miglia (per averne un’idea basta osservare la cartina: tra le longitudini 4° e 4° 30′ intercorrono, a 48° di lat., 23 miglia).
Ha un’altezza di 54,80 metri dal suolo e 74,60 metri sopra il livello del mare. Posizione geografica: 48º 27 ’35 “N – 05º 09′ 10” W Caratteristica della luce: Fl (2) W 10s

Le prinipali tappe sono state: 1859 inizio costruzione; 1863 entrata in funzione; 1888 elettrificazione; 1901 venne dotato di luce lampeggiante; 1971 equipaggiato con lampade allo xeno; 1987 fornito alla sommità di un sistema di schermi per tenere lontani gli uccelli migratori; 1988 costituzione del Musée des Phares et des Balises (Museo dei Fari e dei Fanali) .

Altre caratteristiche di rilievo sono la disposizione delle sue quattro lenti su due livelli e il controllo da remoto di ben 6 fari: Nividic, La Jument, Kéreon, Stiff, Pierres Noires e e Île Vierge, il faro in pietra più alto d’Europa.

Bāb el-Mandeb

Lo stretto di Bab el-Mandeb collega il Mar Rosso col Golfo di Aden e con l’Oceano Indiano. Ha un’ampiezza minima, tra il Corno d’Africa e la costa occidentale dello Yemen, di 20 miglia con l’isoletta vulcanica di Perim, sotto sovranità yemenita, a circa 2 miglia dalla costa, che lo divide in due parti ineguali, di cui quella occidentale rappresenta l’effettivo canale di passaggio fra i due mari, con fondali che superano di poco i 300 m. Il nome arabo dello stretto significa “la porta delle lacrime” (in ingl. Gate of Tears), così chiamato per i pericoli che un tempo erano presenti nella sua navigazione.

Per lo stretto, sul quale vige uno schema di separazione del traffico: Traffic Separation Scheme -TSS, ogni giorno passano oltre 60 navi commerciali di cui un buon numero di petroliere che transitano da e per il Golfo Persico collegando l’Europa e il Nord America attraverso il Canale di Suez.

La regione è nota come una delle più instabili del Globo a causa del conflitto nello Yemen che ha causato una crisi umanitaria di proporzioni drammatiche, delle tensioni tra Eritrea ed Etiopia e dall’eterna guerra civile in Somalia che ha dato vita a un fenomeno di pirateria lungo le coste del Corno d’Africa, a nord fino all’Oman e a sud lungo la costa orientale dell’Africa fino in Tanzania.

Si comprende pertanto l’importanza strategica dello stretto; un eventuale blocco costringerebbe le navi a circumnavigare l’intero continente africano, aumentando in maniera marcata i prezzi delle merci e i tempi di consegna, oltre al rischio di abbordaggio da parte dei pirati.

Faro di Thridrangar

Þrídrangaviti, in lingua islandese, è probabilmente il faro più isolato al mondo, arroccato in cima a un pilastro roccioso di origine vulcanica, sotto cui imperversano le selvagge e fredde onde del Nord dell’Oceano Atlantico.

Situato a 8 miglia dalla costa meridionale dell’Islanda, nella posizione 63° 29.3´ N – 20° 30.8´ O, sulla più alta di tre rocce (in realtà sono quattro ma una non è mai stata denominata), tale è il significato del nome, fu eretto nel 1939 dopo che un gruppo di esperti scalatori (un’attività tipica islandese è quella di raccogliere le uova sulle alte scogliere marine) aveva creato un percorso di salita per operai, materiali ed attrezzi.
Considerando le tecnologie dell’epoca l’impresa ha dell’incredibile e bisognerà attendere molti anni per accedervi con l’elicottero, che comunque rimane un’operazione delicata date le condizioni climatiche. Più che le parole sono le foto che danno un’idea di un luogo così impervio.

Il faro, uno dei 180 presenti lungo le coste dell’Islanda, è ancora attivo, identificato da codice L4802, con la lanterna posta a 34 m sul livello del mare e una caratteristica luminosa indicata sulle carte come segnale morse, lettera N a luce bianca con periodo di 30 s e portata di 9 miglia.

L’ultimo intervento di manutenzione risale al luglio del 2015 durante il quale gli operai, giunti in elicottero, rimasero un giorno e una notte riferendo poi di aver notato in mare il nuoto di orche marine.

Gleénans, storica scuola di vela

Les Gleénans è una famosa scuola di vela francese fondata nel 1947 da un gruppo di reduci della Resistenza allo scopo di avvicinare un sempre maggior numero di persone alla vela da diporto, considerata un’attività per pochi.
La sede operativa fu posta nell’omonimo arcipelago a 10 miglia dalla costa di Concarneau in Bretagna.

Mantenendo lo spirito dei suoi fondatori, nel corso degli anni la struttura si è ingrandita e modificata. Alla sede storica originaria, nell’Archipel des Glénans, si sono aggiunte le basi di Île d’Arz, la Paimpol, tutte in Bretagna, sull’Oceano; una base a Marsiglia e una in Corsica sul canale di Bonifacio, nell’area mediterranea.

Agli originari corsi di vela per crociere, che rimangono comunque le principali attività, la scuola offre corsi per catamarani, deriva e windsurf.

A tale istituzione sono legate due barche in compensato, progettate e costruite espressamente per Les Gleénans, oggi non più presenti nella scuola, ma che restano un esempio di barche di facile costruzione e manutenzione: il Vaurien e il Mousquetaire. Famoso è anche il manuale del Corso di navigazione dei Glenans, un compendio di esperienze dell’andare per mare, diretta conseguenza di una varietà di corsi e di una eterogeneità sia degli allievi sia degli istruttori, volontari e professionisti.

Torre della Meloria

Struttura alta 15 metri, costituita da un corpo a pianta quadrata sorretto da quattro archi acuti per ridurre l’impatto delle onde, situata su uno scoglio affiorante all’interno di un’area di circa 40 kmq caratterizzata da ridotti fondali e scogli affioranti. Tale area, indicata come Secche della Meloria, si trova in corrispondenza della costa livornese ed ha forma all’incirca triangolare ai cui vertici sono presenti i fari 1884 Fl(2) W 10 s e 1888 Q(6)+L Fl W 10 s e una meda elastica luminosa Cardinale Est  1892 Q(3) W 10 s.

Come si può immaginare le Secche sono state un luogo di numerosi naufragi tanto che fin dalla metà del XII sec. la Repubblica di Pisa fece erigere una torre che segnalasse, tramite fiaccole luminose anche di notte, il pericolo di quelle acque e al tempo stesso fosse un punto di vedetta contro le incursioni dei pirati saraceni. Nel 1284 venne distrutta dai genovesi nella celebre battaglia della Meloria che diede inizio al declino della potenza marinara di Pisa. La torre venne ricostruita nel 1598 dal Granduca Ferdinando I de’ Medici. Fu nuovamente distrutta dalla forza del mare e quindi riedificata nel 1712 per volontà di Cosimo III, Granduca di Toscana, anch’egli della dinasta dei Medici. Poiché la torre non è dotata di sistema di segnalamento, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso furono eretti due fari, uno a nord e l’altro a sud della secca, mentre negli anni ’80 furono eseguite opere di consolidamento e restauro.

Muskö, una delle più grandi basi navali sotterranee al mondo


La base navale di Muskö, appartenente al governo svedese, si trova nell’isola omonima, 70 km a sud di Stoccolma. La sua costruzione, che comportò l’uso di 800.000 kg di dinamite e la rimozione dì circa 1,5 milioni di tonnellate di roccia, ebbe inizio nel 1950 e fu completata nel 1969, in piena Guerra Fredda. La struttura, che comprende anche un’area scoperta con relative banchine e pontili, è fornita di una rete di strade sotterranee per uno sviluppo di 20 km. L’uso originario dei punti di attraccaggio sotterranei era per cacciatorpediniere e sottomarini. Contemporaneamente alla costruzione della base fu realizzato un collegamento con la terraferma di 3 km in tunnel stradale di cui circa 70 m sotto il livello del mare. Nel corso della Guerra Fredda la struttura sotterranea era tenuta in gran segreto e poche notizie erano di dominio pubblico. Nel 2004 il governo svedese decise di abbandonare la base concentrando la Marina in altre due località sulla terraferma.

Dopo 15 anni di inutilizzo e 50 dalla prima inaugurazione, nell’autunno del 2019, come conseguenza di un piano di decentralizzazione delle forze armate approvato dal parlamento, la Musköbasen è stata riaperta per divenire sede del quartier generale della Marina svedese. A tal proposito il 30 settembre 2019 si è tenuta alla base una cerimonia ufficiale di riapertura con il corpo musicale della Marina e una parata.

Stretto di Malacca

Stretto di Malacca, stretto naturale di mare, situato tra la Penisola di Malacca e l’Isola di Sumatra, che collega il vasto Oceano Indiano con la Cina, il Giappone e il Pacifico. Lungo 800 km e largo anche 180, tocca Thailandia, Malesia e Indonesia e si restringe in corrispondenza di Singapore dove si trasforma in una sacca di appena tre chilometri, attraverso cui passa ogni anno il 40% delle merci trasportate da 60 mila navi, le cui dimensioni massimerientrano nella tipologia detta Malamax, una sigla simile a quella del canale di Panama: 470 m di lunghezza, larghezza 60 m e 20 m di pescaggio (in alcune zone il fondale ha un valore minimo di 25 m).

Tale braccio di mare è stato percorso, fin dal nostro Medioevo, da navi per il trasporto di spezie, pietre preziose, porcellane, sete, sotto il controllo di imperi spesso poco noti: Srivijaya, Majapahit, Malacca. Già dal ‘300 lo stretto è stato interessato da atti di pirateria, un fenomeno oggi assai ridotto per la presenza di compagnie di sicurezza privata e di pattuglie delle forze d’ordine di Indonesia, Malesia e Singapore.

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