Cutter

Nel ‘600 gli inglesi riconobbero le qualità della randa aurica con cui erano attrezzate le imbarcazioni degli olandesi e fiamminghi, quale evoluzione della vela a tarchia la cui comparsa nel Nord Europa sarebbe avvenuta agli inizi del ‘400.
Da tale incontro sarebbero nate quelle unità del naviglio minore che avrebbero resi celebri gli inglesi nei secoli successivi. Tra tutti i tipi senza dubbio il primo posto lo detiene il cutter, sia perché si è dimostrato di spiccate qualità marine come barca da lavoro sia perché le sue forme e la sua attrezzatura hanno rappresentato un riferimento per lungo tempo per molte barche da regata.

Il cutter (pron. cutter) classico, quello delle origini, che ha una attestazione documentale intorno alla prima metà del ‘700, è caratterizzato da un solo albero, composto di un tronco maggiore ed uno di gabbia con crocette, armato di randa aurica e controranda e da un lungo, quasi orizzontale, bompresso retrattile su cui venivano murati diversi tipi di fiocco come si può notare nel disegno ripreso da un manuale in uso nei corsi formativi della Royal Navy della prima metà dell’800.

Lo scafo con ampia superficie laterale dell’opera viva e dalle forme stellate a “calice”, alto di bordo libero, slancio di prua corto o inesistente, poppa a specchio sporgente oltre il dritto o dallo slancio assente, dimostrava un’ottima stabilità di forma e una capacità di tenere il mare attestata da un numero ridotto di cutter persi in mare nel corso degli anni.

É opinione comune considerare il termine come derivato dal verbo to cut “tagliare”, quasi a voler evidenziare la capacità di fendere in velocità le onde, un termine che esprime egregiamente le sue qualità di unità da corsa.
Per le sue particolari qualità marine di velocità, evoluzione e risalita al vento, trovò impiego in attività di controllo, sorveglianza e assistenza alla navigazione. Con tale compito ebbe diffusione anche in Francia e Stati Uniti.
Tipico esempio furono i pilot cutter, richiesti dalle assicurazioni per assistere i clipper lungo il Canale della Manica o per guidare le navi lungo la costa orientale degli Stati Uniti, e i revenue cutter, (revenue, “tassa, entrata”), per contrastare il contrabbando.
Solo tale tipo di imbarcazione poteva svolgere l’attività di pilotaggio nel Canale di Bristol le cui coste si estendono per circa 100 miglia prima di confluire nella foce del fiume Seven, una forma a imbuto che favorisce un mare decisamente corto e confuso anche per la presenza di forti correnti di marea dovute a notevoli escursioni, le più ampie al mondo con valori fino a 14 m. I pilot cutter erano in grado di affrontare tutto ciò con notevole maneggevolezza anche in acque ristrette.

Nell’area mediterranea, i maggiori costi di costruzione dei cutter, rispetto ad analoghe unità a vela latina, un’attrezzatura molto più presente, limitarono la sua diffusione che si concentrò nella parte più occidentale del Mediterraneo. In particolare nel Tirreno, dalla seconda metà dell’800, la diffusione del cutter fu soprattutto in Toscana e successivamente in Campania. In effetti si trattava di imbarcazioni da lavoro con attrezzatura a cutter in cui lo scafo aveva perso le originarie caratteristiche: poppa a cuneo o tonda, chiglia orizzontale, albero più verso prora che può ricordare l’originario sloop, assenza di boma. Inoltre furono costruiti alcuni esemplari con un secondo albero, più simile a un ketch.

Attualmente il termine individua imbarcazioni con un solo albero dislocato appena a proravia del centro attrezzato con randa Marconi e due stralli a cui si inferiscono due fiocchi, la trinchetta più bassa e lo yankee, il cui strallo fa dormiente in testa d’albero, contrastato da un paterazzo ovvero ad una frazione, in genere di 7/8, dell’altezza dell’albero dalla coperta, che impone l’uso di due sartie volanti alte, contemporaneamente a quelle basse della trinchetta.