segnalamenti – sorgenti luminose

La prima fonte di segnalazione luminosa fu la catasta di legna posta in bracieri sulle coste o sui fari romani. Con il Medioevo, durante il quale i fari romani andarono in rovina e le segnalazioni erano semplici falò sulla costa, a partire dal 1100 in alcuni porti italiani vennero costruiti nuovi fari tra cui la Lanterna di Genova che diede l’impulso alla realizzazione di fari in tutta Europa.
Con il ‘600, mentre nell’Europa nord occidentale il carbone aveva quasi del tutto sostituito il legname, soprattutto nei luoghi con maggiore disponibilità, per la sua compattezza, più alta durata e una minore necessità di attenzione da parte dei custodi, nell’area mediterranea il legname era stato quasi del tutto sostituito da lampade ad olio o a candela.
Sarà però la seconda metà del ‘700 l’inizio dello sviluppo tecnologico dell’illuminazione dei fari ad opera soprattutto della Francia che già dalla fine del secolo precedente, per volere del ministro della Marina Jean-Baptiste Colbert (1619 – 1683), aveva migliorato la struttura dei sistemi di illuminazione costiera.

Nel corso dell’800 il legname prima e il carbone poi furono sostituiti dalle lampade ad olio vegetale ed animale. Il carbone resistette più a lungo per la grandezza del fuoco pur presentando una combustione estremamente variabile.

Un primo importante cambiamento si ebbe alla fine del ‘700 con l’invenzione del bruciatore di Argand che diede origine, fin dall’inizio del secolo successivo, a numerosi tipi di lampade ad olio adatte all’uso nei fari, integrate, prima, in riflettori e successivamente inserite nel fuoco delle nuove e rivoluzionarie lenti fresnel, dotate di congegni originati da una rapida diffusione di fari, principali e secondari, dovuta a una intensificazione dei traffici, quali dispositivi di riserva di olio di diversi giorni con regolazione dello stoppino e del flusso d’olio; lampade dotate di leve per allontanarle dalla loro posizione per facilitare le attività di manutenzione; lampade a due o più stoppini concentrici; lampade pneumatiche in cui l’aria in pressione, ottenuta con pompe a mano, consentiva il flusso di olio dal serbatoio del carburante sotto il bruciatore fino allo stoppino, ecc.

Un contributo all’evoluzione tecnologica dei fari la diede nella seconda metà dell’800 la produzione di cherosene dal carbone (in laboratorio nel 1846 – in uso nelle lampade dal 1862), noto come olio di carbone (coal oil), sostituito dagli anni ’70 con il più economico cherosene da petrolio, detto petrolio lampante, il cui processo di raffinazione era stato scoperto nel 1856. L’olio minerale prevalse su quello naturale, non solo per il suo minore costo, ma anche perché, nella spinta tecnologica suddetta, fu ideato un bruciatore, a stoppino multiplo, in grado di consumare con efficienza gli oli idrocarburici.
Oggi l’unico faro al mondo che ancora impiega tale combustibile è il faro di Elbow Reef alle Bahamas.

Tale tipo di bruciatore fu impiegato fino alla fine del secolo. soppiantato da un nuov tipo, quello ad incandescenza a vaporizzazione dell’olio minerale (in ingl. incandescent oil vapor lamp – indicato con l’acronimo IOVL) introdotto per la prima volta dal servizio fari francese nel 1898 al faro di L’Île Penfret. Il principio base è quello che l’olio viene vaporizzato e miscelato con aria compressa (una sorta di carburatore) e spruzzato in un bruciatore dotato di mantello, un originale dispositivo dell’inventore e chimico austriaco Carl Aurer von Welsbach (1858 – 19 29), conosciuto anche come reticella Auer, una rete in cotone rivestita di metalli che la rendono incombustibile e molto luminosa alla fiamma (da cui il termine incandescente). L’aria veniva compressa in un piccolo serbatoio a mezzo di una pompa a mano.

In contemporanea alla IOVL fece la comparsa la lampada ad acetilene, un idrocarburo gassoso scoperto nel 1836, costituita da due serbatoi sovrapposti, quello inferiore contenente carburo di calcio e l’altro contenente acqua. La reazione tra questi due componenti produce l’acetilene che, attraverso un condotto, giunge a un beccuccio posto sulla parte superiore della lampada, da cui fuoriesce bruciando, dopo essere stato acceso, con una fiamma particolarmente intensa.
Il sistema dell’acetilene permise la creazione di fanali e di numerosi fari in luoghi remoti e inaccessibili, privi di personale di custodia, richiedendo in genere solo una visita nel corso dell’anno necessaria alla manutenzione dei meccanismi e al rifornimento dei contenitori di stoccaggio.

Già in precedenza vi erano stati dei tentativi di utilizzo di combustibili gassosi come quelli derivati dal carbone e poi dal petrolio impiegati nell’illuminazione pubblica a partire dagli anni ’20 dell’800, ma il suo uso nei fari avvenne alla fine degli anni ’30 ed era possibile solo con una centrale di produzione prossima al faro. Nel 1884, alla morte del tedesco Julius Pintsch, i figli impiegarono il gas da petrolio che il padre aveva inventato, compresso in bombole, quale sorgente luminosa per vagoni ferroviari e boe di segnalazione.

Nel corso dell’800 le scoperte della ricerca scientifica trovarono un immediato sviluppo tecnologico nel campo elettrico da parte sia di nuove figure professionali che si consideravano più artigiani che non fisici applicati, sia degli stessi scienziati.
Una ricostruzione seppure breve e incompleta sull’argomento è necessaria per identificare almeno le tappe più significative dell’evoluzione dei principali manufatti e dispositivi elettrici introdotti nella gestione dei fari che troveranno sviluppo nel secolo successivo.

L’uso dell’elettricità per illuminazione ebbe inizio in via sperimentale con le lampade ad arco a carbone intorno alla metà dell’800. Prima di allora ci fu la pila di Volta (1800), l’accumulatore (1803), l’arco elettrico (1809), l’elettromagnete (1825), l’induzione elettromagnetica (1831). Quest’ultima scoperta, dovuta al chimico e fisico inglese Michael Faraday (1791-1867), che può brevemente riassumersi nel fenomeno fisico per cui un campo magnetico variabile genera una corrente elettrica in un conduttore, diede la possibilità ad abili inventori di creare dispositivi meccanici capaci di generare corrente elettrica, i generatori magnetoelettrici che a partire dal 1840 si affiancarono agli accumulatori nella metallizzazione elettrolitica e nel decennio successivo trovarono impiego negli impianti di illuminazione dei fari il primo dei quali fu uno dei due fari di South  Foreland (il luogo scelto successivamente da Guglielmo Marconi per i suoi primi esperimenti nelle trasmissioni radio oltre oceano) in Inghilterra dove nel 1857 fu installato un enorme generatore magnetoelettrico di ben 2 t , trascinato da un motore a vapore, in grado di alimentare un lampada ad arco di carbone. La macchina, progettata dal professore inglese di chimica Frederick Hale Holmes, ebbe un certo successo tanto da trovare applicazione su qualche altro faro anche se non molto tempo dopo la maggior parte di essi fu convertita con lampade a cherosene avendo sperimentato le difficoltà di controllo e i forti costi di gestione delle lampade ad arco.

Si evidenzia che uno dei maggiori studiosi di tale tipo di lampada fu l’inglese Hertha Marks Ayrton (1854 – 1923), laureata in matematica e studiosa di fisica ed ingegneria elettrica. Ella fece numerosi studi sull’arco elettrico (e non solo) proponendo alcuni accorgimenti migliorativi tra cui l’inserimento degli elettrodi di carbone in un’ampolla di vetro per ridurne il consumo. Una vita dedicata alla ricerca, impegnata nella famiglia e scontrandosi frequentemente con pregiudizi di istituzioni che poco spazio davano alle donne.

In quel periodo di continui progressi fece la sua comparsa la dinamo (1871), realizzata dal belga Zenobe Gramme (1826-1901), in origine una invenzione dello scienziato italiano Antonio Pacinotti (1841-1912).

La macchina risultò molto affidabile ed ebbe un grande successo commerciale perché il mercato da tempo attendeva un prodotto di tale qualità ed affidabilità che non soffrisse di surriscaldamento.

Con il nuovo secolo furono fatti numerosi progressi nelle macchine elettriche e un perfezionamento continuo delle lampadine ad incandescenza che, da una semplice lampadina con filamento di platino, brevettata da Thomas Alva Edison (1847-1931) intorno al 1880, raggiunse uno standard adatto per l’illuminazione dei fari marittimi intorno agli anni ’20 del ‘900. Si trattava di una lampada elettrica a incandescenza con filo di tungsteno, un’invenzione di inizio secolo, in atmosfera di argon con aggiunta di xeno in grado di fornire una maggiore luminosità e durata.

Con il XXI secolo, prima nei dispositivi minore di segnalamento luminoso poi nei fari, gli illuminanti elettrici sono stati in buona parte convertiti con sorgenti in tecnologia LED, che dalla scoperta negli anni ’60 del secolo scorso ad oggi ha fatto notevoli progressi e continua la sua evoluzione.
In Italia il primo faro italiano convertito è stato quello del molo San Vincenzo di Napoli nel 2016, nella stessa base dove nel 1911 nasceva il Servizio fari italiano sotto il controllo della Marina Militare.