Gerda III e l’evasione degli ebrei nella II Guerra Mondiale

Gerda III e l’evasione degli ebrei nella II Guerra Mondiale

Nel 1943, gli orrori della Germania nazista si erano ormai estesi a tutta l’Europa occupata, raggiungendo livelli inimmaginabili. Nella Danimarca occupata il Movimento di Resistenza danese riuscì a sapere che agli inizi di settembre Adolf Hitler aveva ordinato la deportazione degli ebrei danesi nei campi di concentramento tedeschi. Già a fine settembre giunsero nel porto di Copenhagen due navi passeggeri tedesche destinate all’imbarco di 5000 ebrei.

Nonostante il grande rischio personale, molti civili danesi diedero vita a una grande, diffusa, silenziosa e rapida attività di evacuazione via mare di circa 8000 ebrei dalla Danimarca verso la vicina Svezia neutrale. Oggi il ponte di Øresund, costruito solo nel 2000, il più lungo ponte strallato d’Europa adibito al traffico stradale e ferroviario, collega la città di Copenaghen con quella di Malmö in Svezia.

I trasferimenti avvenivano dai porti di pesca della zona settentrionale della Selandia , la maggiore delle isole danesi. Tra questi, il porto di Gilleleje, uno dei più grandi, posto nel punto più settentrionale dell’isola, da cui furono trasferiti un quinto degli ebrei danesi tramite pescherecci e imbarcazioni costiere.

Delle circa 300 imbarcazioni della Selandia che parteciparono all’evasione attualmente rimane il Gerda III, visibile presso il Mystic Seaport Museum, il più grande museo marittimo degli Stati Uniti. L’imbarcazione, di 12 metri, 20 tonnellate, costruita nel 1928, fu usata da Henny Sonding, la figlia 19enne di un ufficiale della Marina danese che comandava il servizio fari e fanali della zona. Per tre settimane la barca partiva di notte per rifornire il faro, ma appena fuori del porto si dirigeva con il prezioso carico, in gruppi di 10-15 alla volta, nascosto all’interno dello scafo, verso la costa svedese dove veniva sbarcato.

Sebbene l’imbarcazione fosse regolarmente controllata dai soldati tedeschi, i rifugiati non furono mai scoperti e 300 persone furono messe in salvo. Dopo la guerra, con un atto del parlamento danese, l’imbarcazione fu donata al Museo del Patrimonio Ebraico di New York che dopo adeguati lavori di restauro fu trasferita al Mystic Seaport.

Il coinvolgimento così esteso della popolazione danese fu la diretta conseguenza di una identità culturale, etnica e soprattutto condivisa da tutti, non collegabile ad un particolare patrimonio razziale o genetico, nota come danskhed (traducibile in “danesità”), capace di riconoscere come compatibili quelle prime minoranze etniche già da tempo presenti nei suoi territori, quali polacchi ed ebrei, un fenomeno inclusivo che allora permise il salvataggio di più del 99% degli ebrei danesi e che oggi, con la crescita dell’immigrazione che in tutta Europa ha distolto l’attenzione da altri più importanti problemi, si è trasformato in una linea severa nei confronti dei flussi migratori.